L’attenzione rivolta a guardarsi dentro, a pensare che anche un malessere fisico possa essere conseguenza di una difficoltà legata al nostro mondo interno, alla nostra psiche, al nostro modo di reagire ad alcune situazioni particolarmente stressanti o croniche, è sempre maggiore. Continuamente, prove scientifiche dimostrano una sempre più correlazione tra i nostri malesseri interni e le situazioni ad alto stress a cui siamo sottoposti quotidianamente. Sempre più medici consigliano di “modificare” il nostro stile di vita, la nostra alimentazione, di stare più tranquilli e attenti alle condizioni di disagio e di sofferenza a cui sottoponiamo il nostro fisico e la nostra psiche. Sempre più consigli arrivano da amici, social, colleghi, che invitano a evitare situazioni di rischio e magari concedersi più tempo per sé, come una vacanza o una giornata al centro benessere, alla meditazione, allo yoga.
Questi consigli sono molto indicati e spesso recano numerosi vantaggi, anche se la paura di cambiare e il desiderio di cambiare sono aspetti che si intrecciano di frequente nella nostra vita.
Ma cosa accade quando si ha difficoltà a prendere le giuste distanze da quel modo di funzionare? Da quella dedizione eccessiva alla famiglia, oppure al lavoro? Al cercare sempre quelle relazioni nocive che non ci soddisfano in pieno ma che ci fanno, al solito, stare male? Cosa ci impedisce di reagire in quel modo, che poi sappiamo benissimo che forse sarebbe stato meglio evitare? Cosa ci trattiene a realizzare ciò che più si desidera o più si teme al tempo stesso?
Forse la troppa attinenza ad avere pensieri limitanti: “Speravo che le cose sarebbero rimaste come sono ora. Le cose stanno in questo modo e resteranno sempre così. Il nero è nero e il bianco è bianco. Questo è tutto ciò che c’è. Le regole sono fatte per essere rispettate”.
Oppure ci ritroviamo a sperare che il cambiamento avvenga per magia, ma anche che debbano essere piuttosto gli altri a cambiare. Questo modo di pensare è sicuramente più comodo che procurarsi i mezzi affinché esso avvenga. Incolpare gli altri se si è quello che si è e niente cambia non è necessariamente falso, ma ragionare così significa anche offuscare il fatto che si attribuisce a questi “altri” la facoltà di cambiarci, facoltà che peraltro rifiutiamo di ammettere, dato che ciò significherebbe riconoscere le nostre aspettative e la nostra dipendenza da loro.
La difficoltà a cambiare è, pertanto, anche il pensare che debbano essere gli altri a farlo e per questo ostinarsi e vedere sempre ciò che non va fuori e poco o quasi mai in noi stessi.
“Come è possibile che qualcuno veda chiaro quando non vede nemmeno se stesso, né quelle tenebre che egli stesso proietta inconsciamente in ogni sua azione?” (Jung, 1992)
“Non esiste l’umanità. Io esisto, voi esistete. L’umanità è soltanto una parola. Siate ciò che Dio vuole che siate; non vi preoccupate per l’umanità. Preoccupandovi dell’umanità, che non esiste, eludete il compito di guardare ciò che esiste: il Sé. Fate come l’uomo che affacciandosi sul campo del vicino, gli dice: “Guarda un’erbaccia. E un’altra. Perché non zappi più a fondo? Perché non tieni pulita la tua vigna?” E intanto il suo campo è pieno di erbacce”. (Jung, 1995)
“Siamo tutti maestri nell’uso della proiezione, un maccanismo di autodifesa che ci toglie dall’imbarazzo di doverci guardare dentro.” (Deepak Chopra, 2014)
LA PAURA DI RIMANERE DELUSI
E’ senz’altro vero che si può aver paura di ciò che più si desidera e fare il contrario di ciò che maggiormente si desidera e di ciò che potrebbe rendere felici se lo facessimo.
Riuscire a riconoscere qualcosa di diverso in sé stessi, ammettere che ciò sia possibile, e che c’è effettivamente qualcosa di diverso da cui si può trarre giovamento, comporta il rischio di spalancare la porta alle proprie aspettative, alle proprie aspirazioni e in particolar modo a tutte le frustrazioni e le delusioni che il precedente non-soddisfacimento ha generato.
Riconoscere a se stessi una qualità equivale certamente a riconoscere tutto ciò che non va, la confusione che si fa della propria vita nonché il fatto che potrebbe essere altrimenti. Significa far rinascere una speranza e, dunque, la possibilità che questa venga nuovamente delusa. Significa trovarsi brutalmente di fronte al baratro di tutto ciò che ci manca. Significa sentirsi vuoti di fronte all’immensità di un’attesa che ci fa sentire piccolissimi rispetto all’enormità di quanto riteniamo di non aver avuto e che ci sfuggirà.
Questo certamente può spaventare e impedirci di fare tentativi, ma se desideriamo che ciò che abbiamo intorno inizi a cambiare dovremmo incominciare prima da noi stessi.
Inoltre, ricordiamoci sempre che:
“Conoscere la propria oscurità è il metodo migliore per affrontare le tenebre degli altri” (Carl Gustav Jung)
Dott.ssa Laura Paolucci
Psicologa con formazione analitico-junghiana presso il CIPA di Roma (Centro Italiano di Psicologia Analitica), psicodiagnosta.
Fonti Consultate
Deepak Chopra, Guarirsi da dentro, Pickwick, 2014
Jeammet, P., Adulti senza riserva, Cortina Raffaello, Milano, 2009
Jung, C.G., Psicologia e Religione, Opere Vol. 11, Bollati Boringhieri, Torino, 1992
Jung, C.G., Jung parla, Adelphi Edizioni, Milano, 1995
www.jungitalia.it – dal blog “Il dogma di cambiare il mondo fuori: l’illusione del nevrotico moderno”